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5 min readDec 4, 2020

Interviste nel flusso dell’acquario di Instagram

Giulia Cosci Bernard

https://www.instagram.com/giulia_cosci_bernard/

Perché usi Instagram?
Ho iniziato ad usare Instagram alla fine del 2016 dopo un lungo periodo di assenza dai social (Facebook). Mi piaceva la sensazione di essere distaccata da quel piccolo mondo online fatto di foto profilo e desiderio di accettazione, poi però ho dovuto ammettere a me stessa che per “esistere” professionalmente Instagram era fondamentale. I primi tempi ero molto prevenuta e critica, poi pian piano ho cominciato a vederlo come una possibilità per il racconto, a volte personale e altre collettivo, di storie che in altri contesti non potrebbero arrivare in modo così ampio e immediato.

Perché sei legata a questo progetto che si può vedere sul tuo profilo IG?
Ho iniziato il progetto del diario perché nei giorni precedenti al primo lockdown c’era, per tutti, un clima di incertezza e straniamento: stavamo vivendo una situazione nuova di cui sapevamo pochissimo e che ogni giorno peggiorava. Quando è stato firmato il primo DPCM, con tutte le limitazioni previste, usare Instagram per parlare di altro mi sembrava falso, come se si trattasse di nascondere delle emozioni con cui avremmo dovuto avere a che fare per molto tempo. Il diario è stata la cosa che mi è venuta più naturale. Non è stato facile, non sempre lo è. Ci sono giorni in cui vorrei interromperlo ed evitare di raccontarmi sia con le parole che con le immagini ma lo vivo anche come un impegno necessario a mantenere una routine che pian piano diventa consapevolezza e condivisione di sensazioni che proviamo tutti.

Perché lo esegui in questo modo?
Da sempre mi sento molto legata agli spazi abitativi, sono tanti i luoghi che
ho chiamato “casa” e per me le stanze e gli oggetti del quotidiano raccontano molto di chi ci ha vissuto e come. Per questa ragione ho deciso di fare in modo che fosse il mio appartamento a narrare visivamente lo scorrere di giornate apparentemente tutte uguali. Anche la scelta di iniziare ogni serie con un autoritratto sempre negli stessi punti della casa è un modo per rimarcare un’attesa preannunciando, attraverso la mia posa o espressione, le sensazioni vissute giorno per giorno.

Come usi IG in relazione a questo progetto?
Instagram è diventato sempre di più uno strumento di pura condivisione;
con questo progetto mi espongo molto sia per quanto riguarda le immagini che per i testi, che sono annotazioni e pensieri del mio diario reale. All’inizio avevo un po’ di remore sul grado di onestà da mantenere perché condividere troppo di me mi faceva sentire vulnerabile, poi ho iniziato a capire che ciò che provo è comune a molti e ritengo che sia importante parlare e mostrare anche i momenti di fragilità.

Cosa significa il lockdown per la tua produzione?
Il lockdown ha significato un momento di pausa obbligata che mi ha messa nella posizione di mettere in discussione tutti i piani che avevo fatto e stavo portando avanti. Ritengo che viverlo come un’attesa e basta sia sbagliato; pensando così i mesi passati diventano tempo perso. Dedicandomi molto alla produzione commerciale mi sono ritrovata, per la prima volta dopo anni,
ad avere il tempo di fermarmi e riflettere su quali siano veramente i miei obiettivi in campo creativo e dedicarmici per dargli lo spazio che meritano.

Cosa c’è nel fuoricampo delle tue immagini?
Nel fuoricampo delle mie immagini ci sono molti piatti sporchi, post it con liste di cose da fare e una caffettiera sempre pronta per essere messa sul fornello. C’è un’ambivalenza tra ordine e caos, pieno e vuoto con un desiderio di equilibrio e una ricerca di sicurezza che deve venire da dentro prima
di essere colta dall’esterno.

Chi e cosa ti ispira?
Credo molto nell’interconnessione tra le diverse forme artistiche come scrittura, cinema, fotografia e arte performativa. Inoltre ritengo che sia importante circondarsi da stimoli che con l’arte possono non avere nulla
a che fare, ma che ci spingono ad arricchire il nostro bagaglio di esperienze.
A volte ad ispirarmi è una buona birra, altre una corsa mattutina in un giorno nuvolo e altre ancora è l’incontro con altri che, spingendomi fuori da
me stessa, mi porta all’osservazione di altri modi di muoversi e pensare.
Mi ispirano i romanzi di Italo Calvino, le poesie di Sylvia Plath e i racconti
di Lucia Berlin. Educo il mio sguardo e la mia sensibilità con i film di Xavier Dolan, rifletto sullo scorrere del tempo e le diverse varianti che ci possono essere in una vita guardando “Lola corre” e mi coccolo trovando me stessa
nel protagonista di “E morì con un felafel in mano”. Poi, parlando di questo specifico progetto, ho tratto molta ispirazione da Luigi Ghirri con la poesia
che emerge dalle sue foto di paesaggio e oggetti del quotidiano, da Cindy Sherman maestra nei suoi autoritratti nell’investigare i diversi aspetti dell’essere donna, e Nan Goldin che con un diario al contempo sia crudo
che tenero è riuscita a raccontare se stessa e la sua generazione.

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