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4 min readDec 4, 2020

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Interviste nel flusso dell’acquario di Instagram

Jordane Prestrot

https://www.instagram.com/jordaneprestrot/

Perché usi Instagram?
Sebbene non penso che guardare un piccolo schermo di un cellulare sia
il modo migliore per godere una fotografia, e sebbene personalmente mi stiano molto strette le regole di Instagram riguardo il cosiddetto “materiale per adulti”, devo ammettere esso sia diventata la piattaforma principale per condividere materiale fotografico nel mondo. Quindi, come artista visivo che vuole raggiungere il pubblico, non avevo veramente altre opzioni che aprire un profilo Instagram.

Perché sei legato a questo progetto che si può vedere sul tuo profilo IG?
Come artista mi sono ripromesso di reagire sempre ad ogni esperienza che
mi capiti, specialmente le negative. Durante il primo lockdown ho iniziato facendo quaranta fotografie di questa serie che potete vedere. All’epoca c’erano molte incertezze e paure riguardo la pandemia. Mi interessava trattare gli aspetti psicologici dell’impatto con il lockdown, ma sempre con
un tocco umoristico e autoironico. Volevo che la gente ridesse e volevo aiutarla a superare le difficoltà della situazione. Così iniziai a fare
un autoritratto multiplo tutti i giorni. All’inizio lo feci in uno stile documentaristico. Ma presto iniziò a prendere una dimensione fantastica. All’arrivo del secondo lockdown ho pensato di creare nuovi episodi di questi “Jordanes” (come vengono chiamati). Quindi il secondo lockdown l’ho preso come chance per spingere ai limiti questo tipo di lavoro, facendo foto sempre più bizzarre sia per tema che per tecnica, fino a includere interazioni fisiche tra i diversi personaggi. Si può dire che questo lockdown mi ha fatto costruire delle storie più strutturate.

Perché esegui questo progetto in questo modo?
Se con il lockdown una delle principali difficoltà diventa l’isolamento sociale, allora io , moltiplicando la mia persona, voglio mostrare questa frustrazione. Da un lato ciò mi aiuta a rendere ciò che significa stare da soli con sé stessi, con le proprie paure e i propri limiti. Da un altro ho pensato che avrebbe potuto essere catartico giocare con questi cloni, farli interagire come se fossero stati persone diverse, viventi in un periodo normale.

Di solito creo la mia foto quotidiana al mattino. Quindi, dopo aver pensato che foto fare, pianifico lo scatto. Durante questa fase cerco l’idea o l’azione,
poi l’angolo della casa dove tale azione dovrebbe succedere, e quale dei vari “Jordanes” compierebbe tale azione. Quindi creo il set. Per scattare posiziono la camera su di un treppiede e imposto un intervallometro che possa fare una foto ogni 12 secondi. In questo modo mi posso muovere e recitare tutti i personaggi. Ovviamente posso lanciare l’intervallometro molte volte, se per esempio ho bisogno di cambiare i vestiti. Imposto tutto manualmente per evitare differenze di luce o di fuoco tra le foto. Finita questa fase inizio a creare in postproduzione un collage delle varie foto che sia decente. Per farlo uso vari layers e strumenti di cancellazione. Fino a quando non ho una foto unica che mi soddisfi e che posso facilmente migliorare come se fosse una foto normale.

Come usi IG in relazione a questo progetto?
Uso Instagram nello stesso modo in cui uso Facebook, Flickr, Tumblr o Ello.
È solo un modo per rendere il lavoro visibile.

Cosa significa il lockdown per la tua produzione?
Il primo lockdown mi ha abbastanza spaventato. Questo perché sono molto attaccato alla mia libertà personale, anche se normalmente sto a casa e lavoro durante il giorno. Fare questa serie mi ha aiutato a trovare un senso alla situazione. A trovare uno scopo quotidiano, un fine. Per me è come un processo alchemico. Provo a trasformare tutto ciò che di brutto mi accade nella vita, in arte che posso amare. Il lockdown in questo particolare progetto mi ha permesso di sfidare i miei confini. Dato che sulla carta questo progetto avrebbe potuto suonare come un viaggio nel mio ego ho deciso di prendere dei rischi col mio narcisismo e mostrarmi sotto angoli “negativi”, e in situazioni potenzialmente umilianti. Il lockdown mi ha fatto capire che dovevo considerare il mio corpo e la mia personalità come strumenti artistici. Quindi, forse, le restrizioni alla libertà che ho affrontato mi hanno paradossalmente reso più libero riguardo come personalmente investo la mia persona nell’arte.

Cosa c’è nel fuoricampo delle tue immagini?
Penso la mia ansia. Anche la rabbia che posso provare qualche volta. Quando vedo che succede là fuori e come la gente reagisce, i negazionisti specialmente.

Chi e cosa ti ispira?
Per questo particolare progetto la recente ri-visione de “I sette samurai” mi ha dato l’idea di compiere questa battaglia durante il lockdown…

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